TRA CORTOMETRAGGI E CINEMA INDIPENDENTE
DAVIDE LABANTI , regista
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TRA CORTOMETRAGGI E CINEMA INDIPENDENTE

DAVIDE LABANTI , regista

PEPERONCINO - Se fossi una spezia sarei il peperoncino. A molti non piace. Chi lo ama ne va pazzo. Per apprezzarlo devi essere un po' masochista. In realtà fa molto bene alla salute. E poi è afrodisiaco ;-).

Premio miglior cortometraggio italiano al RIFF _ Rome Indipendent Film Festival con "L’IMPRESA". Facciamo un po’ di autocritica: quali credi siano le caratteristiche del corto che l’hanno reso vincente?La vittoria al RIFF è stata indubbiamente una grande soddisfazione. Non era facile vincere con un corto dal tema “difficile” in una città “difficile” come Roma. “Difficile” perché a Roma, dove ho vissuto per anni, ci sono tanti ottimi professionisti, dagli autori ai tecnici. Per fortuna tutte le persone con cui ho lavorato sulla produzione de “L'impresa” con cui poi lavoro di solito, sono tutti cresciuti professionalmente nell'ambito delle produzioni romane e milanesi che indubbiamente ti preparano meglio “alla battaglia” rispetto ad una produzione più piccola. La sfida era quella di utilizzare questa professionalità in un contesto più libero creativamente. Direi che ci siamo riusciti. Questa in realtà credo che sia la prima caratteristica vincente del mio lavoro. Una caratteristica che si trova sempre più spesso qui a Bologna. Chi si loda si imbroda e spero i lettori mi perdoneranno ma anche Status, la web serie scritta da me, Margherita Ferri e Renato Giugliano, che ha vinto il concorso “Are you series” indetto dal Milano Film Festival nel 2014, aggiudicandosi il budget di 60.000€ e adesso visibile su Mymovies, è una produzione bolognese al 100%. Insomma, secondo me qualcosa vuol dire...
Faccio anche autocritica. “L'impresa” a prima vista affronta un tema sociale come la crisi del mondo delle piccole aziende artigiane nel nostro paese. Ecco. Io odio i temi sociali, o almeno la definizione come tali. Credo che esistano film che ti “toccano”, e altri che ti fanno pensare a dove andare a mangiare la pizza dopo il cinema. Il tema “sociale” è solo lo sfondo dove agiscono i personaggi che poi non fanno altro che mostrare al pubblico la loro storia e non certo la “socialità del problema” che stanno vivendo. Spero questo emerga chiaramente dal mio film, altrimenti ho sbagliato. Spero di aver vinto perché sono riuscito a raccontare nel modo giusto la storia di alcuni uomini posti di fronte ad una scelta difficile e dolorosa e non per altri motivi.

Ti va di raccontarci qualcosa sul backstage del corto? Da cosa sei partito? Quali sono state le principali difficoltà che hai dovuto risolvere? Quanto tempo hai impiegato per la produzione? Come hai fatto per coprire i costi di produzione?La gestazione de “L'impresa” è durata tanto. Troppo. 3 anni e 4 diverse versioni della sceneggiatura. Se leggi la prima versione era completamente un altro film. La seconda versione mi faceva schifo. La terza era troppo costosa ma la sto tenendo come soggetto per un futuro lungometraggio perché è un film che mi piacerebbe vedere. La quarta versione era la cosa giusta al posto giusto ed è quella che ho prodotto. Visto che un regista è uno che pretende di parlare di cose che non conosce, è furbo ogni tanto sapere di che cosa si sta parlando. Giusto per essere sicuri che il tuo protagonista non dica cose che non c'entrano nulla con il contesto in cui si muove. Per farlo ho intervistato alcuni imprenditori della provincia di Bologna, nel frattempo stavo lavorando sulla scaletta, adattandola alle nuove informazioni che ricevevo di volta in volta. Questo metodo ci ha obbligati ad interrogarci a lungo su alcuni snodi narrativi che per me e gli altri sceneggiatori, Eugenio Premuda e Gregorio Maraschini, erano ok. Avendo informazioni sul reale contesto molto spesso ci siamo detti che i nostri personaggi stavano agendo come nessuno avrebbe fatto al loro posto. Poi non volevo fare e non ho fatto un documentario, anzi è fiction al 100%, perciò abbiamo deciso alle volte che per i nostri scopi poteva andare bene allontanarci dal reale. Però un conto è uscire di strada sapendo che lo stai facendo un conto è pensare che sia normale girare con due ruote dentro il fosso.
I costi? Avevo ottenuto un piccolo contributo dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e, contrariamente al mio primo corto “Il vincitore” per il quale in 8 mesi trovai quasi ventimilaeuro di cui nemmeno un centesimo di soldi pubblici, era il 2008!, questa volta era il 2012 e non si riusciva a battere cassa da nessuna parte. Allora Niccolò Manzolini di Seiperdue, co-produttore insieme alla mia associazione e Dogntree, un giorno davanti ad una birra mi disse “senti ma perché da qui ad un anno non partecipiamo a tutti i concorsi di pubblicità e videoclip che si trovano in rete e mettiamo gli eventuali premi nel budget del corto”. Forse avevo bevuto troppo e dissi “ok”. Così facendo in un anno abbiamo girato tra me e lui 3 spot e 3 videoclip vincendo quasi sempre il primo premio o al massimo il secondo e abbiamo aumentato il budget iniziale di una volta e mezzo. Da lì abbiamo messo in piedi la produzione, altro giochino non indifferente perché girare in una azienda funzionante e in salute non è proprio come girare in teatro di posa ma, nonostante tutto e grazie alla grande disponibilità di un imprenditore della zona, in 4 giorni abbiamo chiuso il piano di lavoro.

Parliamo di Kinodromo. Ci spieghi brevemente come nasce e quali sono i segreti per il suo successo?Il segreto di Kinodromo credo stia nel fatto che a Bologna molta gente si era rotta le scatole di lamentarsi su come era triste ed infelice il settore dell'audiovisivo in regione. Perciò molti lavoratori dello spettacolo che vivono qui si sono uniti tra loro. Poi si sono aggiunti altri professionisti del mondo della comunicazione, del teatro, del giornalismo, del web e grazie al lavoro insieme siamo riusciti a mettere in piedi una associazione che gestisce la programmazione del lunedì e martedì di una sala cinematografica in centro a Bologna che stava per chiudere. Da novembre 2012 ad oggi abbiamo aumentato le presenze in due serate non certo di punta del 173%, attestandoci su una media di 78 spettatori a sera. Proprio quest'anno abbiamo vinto un bando comunale che ci ha dato la possibilità di avere una nostra sede dove inizieremo un hub artistico. E stiamo lanciando la rete Kinodromo in alcuni cinema della regione. Esportiamo Kinodromo come sistema riproducibile.
Il tutto mentre in regione la Giunta Regionale, dopo anni di pressing, stava iniziando a discutere una legge sul FilmFund di cui non si sa più nulla da almeno un paio di mesi e che avrebbe potuto far ripartire un po' le cose. Non male, no, quando le persone superano a sinistra le istituzioni?

Ci piacerebbe avere alcune tue considerazioni sul cinema indipendente in Italia sulla base delle tue esperienze in qualità di regista e di socio fondatore del Kinodromo.Posso essere schietto? A mio gusto, e ribadisco a mio gusto, c'è poco e quel poco che è di qualità vede di rado la sala cinematografica. Anche fuori dall'Italia è difficile che veda cose indipendenti, visto che è questo l'ambito su cui mi interroghi, che mi facciano emozionare. Poi forse il tema vero è chiedersi cosa significhi indipendente. “Indipendente” vuol dire no budget? Low budget? Con un produttore che non ti stravolga il film? Senza un produttore? Senza un distributore che ti distribuisca? Con un grande distributore che ti dice anche cosa deve cucinare il catering? Non saprei... secondo me esistono produzioni coraggiose, e in Italia è pieno ma certo la casalinga di Voghera non lo sa. Secondo me esistono storie forti e in Italia sarebbe pieno, basterebbe aprire il giornale. Secondo me esistono “visioni registiche” forti, folli, spericolate che se ne fottono, e qui inizio a non sapere bene chi indicarti. Secondo me esistono registi che sanno fare il loro lavoro e per farlo occorre avere la possibilità di iniziare un percorso di crescita professionale esattamente come in qualunque settore dello scibile umano. E qui dalla “rarità” passiamo alla ”unicità”. Hai presente gli unicorni?

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